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- Usa abbassa i dazi sui beni cinesi al 30%.
- Cina riduce i suoi dazi al 10%.
- Il 95% delle sneakers usa dal sud est asiatico.
- La cina detiene il 59% del mercato sneakers.
- Sneakers: costo produzione 14 dollari, vendute a 100.
Il 14 maggio 2025 entrerà ufficialmente in vigore un importante accordo commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina, considerato una tregua temporanea nel lungo conflitto economico che li contrappone. Questa intesa comporta una significativa diminuzione dei dazi reciproci: il governo statunitense prevede di abbattere i tributi sui beni provenienti dalla Cina al 30%, mentre quello cinese applicherà un calo ai suoi dazi fissandoli al 10%. Tale decisione implica uno sconto ragguardevole che supera i 100 punti percentuali rispetto ai precedenti costi doganali.
In occasione di un’intervista antecedente all’applicazione della convenzione, l’ex presidente Trump ha espresso opinioni positive riguardo a quest’accordo, considerandolo come fondamenta per costruire relazioni solide con la Cina. Inoltre, ha evidenziato quanto sia cruciale l’apertura del mercato cinese nell’ambito della trattativa.
La guerra commerciale di Trump: una sconfitta mascherata?
Sebbene molti proclamino un atteggiamento favorevole verso la situazione attuale, vi sono analisi che indicano come questo armistizio costituisca una vera e propria sconfitta per Donald Trump e le sue scelte in materia commerciale. I balzelli inizialmente fissati a livelli esorbitanti – addirittura al 145% – verranno sensibilmente abbassati; tale evoluzione solleva interrogativi sull’efficacia duratura della linea adottata dall’ex Presidente.
Ci si domanda quindi: sarà questo nuovo assetto tariffario fissato al 30% realmente in grado di soddisfare gli ambiziosi traguardi definiti da Trump? Questi obiettivi comprendono innanzitutto il potenziamento degli introiti fiscali e la contrazione del deficit commerciale. Eppure diversi esperti mostrano aperta incredulità su tale possibilità; alcuni ritengono infatti che dietro tutto ciò si cela un intento più orientato verso il ripristino dell’immagine pubblica di Trump piuttosto che vere strategie economiche efficaci.
Nonostante ciò sia difficile negare una certa legittimità alle preoccupazioni espresse dall’ex Presidente riguardo alle logiche operative nel commercio globale. Si evidenzia infatti non solo il malcostume relativo allo sfruttamento delle aziende cinesi ma anche quello volto all’approfittarsi della manodopera nei vari Stati sudorientali asiatici perpetrato dalle conglomerate occidentali.

- Finalmente una tregua! L'accordo USA-Cina è un passo avanti......
- Sconfitta mascherata? Trump ha davvero fallito nella guerra commerciale......
- E se invece guardassimo allo sfruttamento dei lavoratori asiatici... 🤔...
Lo sfruttamento nel capitalismo globalizzato: il caso delle sneakers
La questione della produzione delle scarpe da ginnastica offre uno spaccato significativo della dinamica economica attuale. Negli USA, ben il 95% dei modelli commercializzati proviene dal Sudest asiatico; la Cina occupa un posto preponderante con una porzione del mercato pari al 59%. Per fabbricare un singolo paio si spendono in media circa 14 dollari, considerando tutti i fattori come materia prima e costi operativi; sebbene ulteriori oneri quali trasporti e tasse portino questa somma a circa 25 dollari, non ci si aspetta mai che tali prodotti vengano offerti sul mercato al pubblico a meno delle
100 dollari.
Una disparità tanto elevata tra il vero valore industriale delle calzature ed il loro prezzo finale mette in luce gli enormi margini lucrosi conseguenti per le multinazionali coinvolte nella filiera: una redditualità potrebbe sfiorare perfino valori superiori al 200%; analoghe considerazioni possono essere estese ad altri beni importati provenienti dalla medesima area geografica.
I guadagni derivanti da tali pratiche vengono canalizzati verso aziende occidentali ed infine ritornano nel ciclo economico globale attraverso opportuno reinvestimento nelle piattaforme finanziarie.
Per concludere, si può affermare che i lavoratori asiatici, vittime di una situazione di sfruttamento, si trovano in netta contrapposizione rispetto agli azionisti occidentali, i quali traggono vantaggio da un’eccezionale crescita delle quotazioni azionarie.
Anche se l’introduzione di tariffe pari al 30% potrebbe sembrare una possibile soluzione per modificare questo stato delle cose, in realtà essa non risolverà la questione; infatti, la disparità nei costi fra diverse economie resta eccessiva. È verosimile che ci sarà un incremento dei prezzi a carico degli utenti finali; tuttavia, è altamente improbabile che le aziende decidano di rinunciare ai loro profitti non giustificabili.
Verso un’economia più equa: una sfida complessa
La questione centrale riguarda la possibilità di mutare l’attuale disparità all’interno dell’ambito commerciale mondiale, dove il profitto si basa sul sacrificio della manodopera in nazioni impoverite. L’auspicio è quello di costruire un’economia più giusta ed equa, all’insegna di retribuzioni rispettose e profitti sostenibili.
Come già osservato dal filosofo Karl Marx, non vi è dubbio che ci si avvicina a un inevitabile conflitto sociale capace di provocare trasformazioni significative nel tessuto socioeconomico. È plausibile pensare che anche nei territori cinesi i lavoratori possano giungere al limite della tolleranza davanti ai bassissimi stipendi richiesti dalle ore lavorative prolungate. Allo stesso tempo, però, continuerà ad avere impatto l’accumulo iniziale del capitale con il suo pesante strascico.
Un approccio incisivo da parte della comunità dei consumatori sarebbe potenzialmente utile nel ribaltare tale scenario; tuttavia, realizzare questo intento rimane fortemente problematico nelle situazioni pratiche quotidiane. Servirebbero trattative globali finalizzate alla salvaguardia dei diritti professionali e relative imposizioni fiscali destinate ai grandi gruppi aziendali globalizzati; ma simili misure porterebbero sicuramente a cali nei ritorni economici delle imprese operanti nelle regioni sviluppate del pianeta.
Equilibrio Instabile: Riflessioni sul Commercio Globale e il Futuro Economico
La recente pausa nel conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina pone domande significative riguardo al percorso futuro del mercato globale ed evidenzia l’urgenza per una struttura economica più giusta ed equilibrata. Sebbene la critica mossa da Trump presenti numerosi difetti intrinseci, essa ha svolto un ruolo fondamentale nell’evidenziare le deformazioni insite nel capitalismo globalizzato oltre allo sfruttamento dei lavoratori nei contesti emergenti.
È imperativo tenere presente il principio economico definito come vantaggio comparato. Questo concetto teorico introdotto da David Ricardo implica che le nazioni debbano concentrarsi su quella specifica produzione dei beni o dei servizi dove possono operare con costi opportunitari inferiori rispetto ai loro simili esteri; successivamente dovranno impegnarsi nello scambio reciproco delle merci prodotte. Nel confronto commerciale fra Stati Uniti e Cina emerge chiaramente che la nazione asiatica possiede prevalentemente un vantaggio nell’ambito della manifattura a basso prezzo; d’altra parte gli USA brillano nei comparti caratterizzati dall’innovazione tecnologica o dalla creazione di prodotti con elevata valorizzazione aggiuntiva. Tuttavia è essenziale assicurare che tale interscambio si realizzi sotto principi equitativi: devono esserci garanzie per condizioni lavorative dignitose insieme a retribuzioni commisurate per tutti gli addetti coinvolti nelle dinamiche produttive dei due paesi.
Un concetto avanzato da considerare è rappresentato dalla teoria della dipendenza. Questo quadro teorico si è formato all’interno degli studi dedicati allo sviluppo economico ed evidenzia come le economie nei paesi meno sviluppati siano intrinsecamente legate a quelle delle nazioni già affermate. Tale relazione avviene attraverso scambi commerciali disparitari e l’estrazione intensiva delle risorse. Riguardo alle interazioni tra Stati Uniti e Cina, la suddetta teoria propone l’idea secondo cui la Cina riveste una funzione limitata come fornitore di beni a basso costo, mentre gli USA ottengono profitti significativi grazie al dominio sulle catene globali del valore.
È tempo di riflettere: quale ruolo possiamo svolgere noi stessi—in quanto cittadini consapevoli—nel favorire pratiche commerciali più giuste e sostenibili? In quali modi possiamo assumerci il compito di assicurarci che i prodotti acquistati non derivino dallo sfruttamento sia degli esseri umani sia dell’ambiente naturale? Tali interrogativi rappresentano nodi centrali attorno ai quali si articola la nostra aspirazione collettiva verso un sistema economico equo per tutti.
- Sito dell'Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti. Approfondimenti sulle politiche commerciali USA.
- Sito ufficiale del governo cinese, utile per approfondimenti sulle politiche commerciali.
- Sito ufficiale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, utile per approfondire il commercio globale.