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- L'UE ha recepito la direttiva 2022/2523, ma non tutti i paesi.
- 23 paesi extra-UE avevano implementato parzialmente la Global Minimum Tax.
- Il sistema GILTI USA non è equivalente alla Global Minimum Tax.
- Safe harbour fino al 2026 sospende l'imposta minima suppletiva.
Un’Analisi Approfondita
Il progetto di riforma della tassazione globale delle multinazionali, promosso dall’OCSE nel 2021 e sottoscritto da oltre 140 Paesi, ha subito trasformazioni significative, culminando nell’esenzione delle imprese statunitensi, decisa durante l’ultimo G7. Questo cambiamento di rotta solleva interrogativi cruciali sul futuro della cooperazione fiscale internazionale e sulle possibili ripercussioni per le economie globali. L’iniziativa originaria dell’OCSE, sostenuta dall’amministrazione Biden, si fondava su due pilastri essenziali: la rilocalizzazione della tassazione, che mirava a tassare le multinazionali dove generano i profitti, e l’introduzione di un’imposta minima globale del 15% per le grandi aziende.
L’Unione Europea ha reagito prontamente, implementando la direttiva 2022/2523. *Fino a oggi, 22 dei 27 Paesi membri hanno pienamente adottato il nuovo regime fiscale. Tuttavia, alcuni Paesi, come Lituania e Slovacchia, hanno adottato un approccio più prudente, mentre altri, come Malta, Lettonia ed Estonia, hanno posticipato l’adozione delle misure al 2030. Nel contesto italiano, la Global Minimum Tax è stata incorporata nel Decreto Legislativo 209/2023, parte della riforma fiscale promossa dal governo Meloni, con la susseguente pubblicazione dei decreti ministeriali per la sua messa in atto. Al di fuori dell’UE, all’inizio del 2024, 23 Paesi avevano implementato, almeno parzialmente, la Global Minimum Tax. Negli ultimi diciotto mesi, 36 Stati si sono attivati, approvando nuove norme o modificando quelle esistenti.
La Svolta al G7 e le Implicazioni per le Multinazionali
L’ultimo G7 ha segnato una svolta, con l’accettazione, da parte di Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia e Regno Unito, dell’esenzione delle multinazionali USA dalla Global Minimum Tax. Questa decisione è motivata dalle regole di tassazione minima esistenti negli Stati Uniti, in particolare il sistema GILTI (Global Intangible Low-Taxed Income), introdotto nel 2017. Il GILTI prevede l’imposizione fiscale sui profitti generati all’estero, qualora questi superino una specifica soglia di rendimento. Ciononostante, questa imposta, caratterizzata da un’aliquota relativamente contenuta, non è stata riconosciuta da altri Paesi come equivalente alla Global Minimum Tax, il che ha portato alla decisione di estenderne l’applicazione anche alle imprese americane.

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Possibili Scenari Futuri: Migrazione di Imprese e Ritorno della Concorrenza Fiscale
Le conseguenze di questa esenzione potrebbero essere significative. Un possibile scenario futuro è la delocalizzazione di importanti complessi aziendali verso gli Stati Uniti, attirati da un regime fiscale più conveniente. Le imprese europee potrebbero ritrovarsi in una posizione di svantaggio, dovendo affrontare i dazi imposti e competere con le controparti americane non assoggettate alla Global Minimum Tax. Un altro scenario è il ritorno della concorrenza fiscale tra le nazioni. Altri Paesi potrebbero introdurre regimi fiscali nazionali simili, invocando l’esenzione dall’imposta globale. La Corte costituzionale del Belgio ha sollevato dubbi sulla compatibilità dell’imposta minima suppletiva con il diritto dell’Unione Europea, trasmettendo il caso alla Corte di Giustizia Ue. Un’eventuale bocciatura della normativa in Belgio avrebbe ripercussioni anche negli altri Stati membri.
L’ultimo G7 ha raggiunto un’intesa di massima su un approccio “side by side”, che prevede la coesistenza di due sistemi fiscali paralleli: la minimum tax promossa dall’OCSE e la normativa statunitense, che include misure come GILTI, BEAT (Base Erosion and Anti-Abuse Tax) e CAMT (Corporate Alternative Minimum Tax). La definizione e la ratifica dei dettagli tecnici di questo accordo dovranno avvenire a livello internazionale. Secondo la Commissione Europea, le modifiche potrebbero essere inserite come safe harbour, in base all’articolo 32 della direttiva 2022/2523.
Implicazioni per le Imprese Italiane: Un’Analisi Dettagliata
L’accordo del G7 potrebbe portare all’applicazione del modello “side by side” ai gruppi la cui capogruppo (Upe) ha sede negli Stati Uniti. Questo approccio riguarderebbe specificamente l’imposta minima integrativa (Iir) e l’imposta minima suppletiva (Utpr), mentre l’imposta minima domestica (Qdmtt) continuerebbe ad essere applicata senza cambiamenti. Le società italiane controllate da gruppi con sede negli USA rimarrebbero soggette all’imposta minima domestica, ma sarebbero esentate dalle altre due imposte, grazie a una misura safe harbour, in vigore fino al 2026, che sospende l’imposta minima suppletiva calcolata per il Paese della capogruppo.
Navigare le Complessità Fiscali: Un Imperativo per la Competitività Globale
La vicenda della Global Minimum Tax ci ricorda quanto sia complesso il panorama fiscale internazionale e come le decisioni politiche possano avere un impatto significativo sulle imprese. Comprendere le dinamiche della tassazione internazionale è fondamentale per le aziende che operano su scala globale poiché consente di ottimizzare le strategie fiscali e di rimanere competitive in un mercato sempre più interconnesso.
Una nozione base di economia e finanza applicabile a questo contesto è il concetto di elusione fiscale, ovvero l’utilizzo di strumenti legali per minimizzare il carico fiscale. Le multinazionali spesso ricorrono a strategie di elusione fiscale sfruttando le differenze tra i sistemi fiscali dei diversi Paesi. Una nozione più avanzata è quella di transfer pricing, ovvero la determinazione dei prezzi di beni e servizi scambiati tra società controllate dallo stesso gruppo. Una corretta gestione del transfer pricing è essenziale per evitare contestazioni da parte delle autorità fiscali e per garantire una tassazione equa.
Questa situazione ci invita a riflettere sul ruolo della tassazione nel contesto della globalizzazione. È giusto che le multinazionali paghino le tasse nei Paesi in cui generano i profitti, o è più importante attrarre investimenti offrendo regimi fiscali vantaggiosi?* La risposta a questa domanda è complessa e dipende da una varietà di fattori, tra cui le priorità politiche dei singoli Paesi e la necessità di garantire una concorrenza equa tra le imprese.







