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- Aeffe: ricavi -21,2% nel 2024, calo a 251 milioni di euro.
- Settore moda: fatturato -5,8% nei primi mesi del 2025.
- Cassa integrazione: impennata del 66% nel primo trimestre 2025.
Un Sintomo delle Difficoltà del Made in Italy?
Aeffe e la composizione negoziata: un punto di svolta per il settore moda italiano
La decisione di Aeffe Spa, holding di marchi di prestigio del Made in Italy come Alberta Ferretti, Moschino e Pollini, di avviare la composizione negoziata, ha suscitato un’ondata di preoccupazione nel settore moda italiano. Questa mossa, che coinvolge anche la controllata Pollini, solleva interrogativi cruciali sulla salute finanziaria delle aziende italiane e sulla loro capacità di competere in un mercato globale in rapida evoluzione.
La composizione negoziata, uno strumento pensato per agevolare il risanamento aziendale attraverso la negoziazione con i creditori, è stata definita da Aeffe come la soluzione più appropriata per garantire stabilità in un periodo di forte tensione finanziaria. La decisione è stata motivata da un quadro economico critico, emerso chiaramente dai bilanci degli ultimi anni. Nel 2024, i ricavi si sono attestati a 251 milioni di euro, segnando un calo del 21,2% rispetto ai 319 milioni di euro del 2023, con flessioni in tutti i canali di distribuzione, dal wholesale (-25%) al retail (-12,5%). Il trend negativo è proseguito anche nel primo semestre del 2025, con un fatturato sceso a 100 milioni di euro (-27,8% rispetto al 2024) e una perdita netta di gruppo salita a 28,5 milioni di euro (da –20,4 milioni di euro).
L’impatto di questa situazione si è fatto sentire anche sul mercato azionario, con il titolo Aeffe che ha subito un significativo deprezzamento, raggiungendo i minimi storici. Questa crisi, che affonda le sue radici in diversi fattori, tra cui la concorrenza internazionale, la contrazione dei consumi e l’aumento dei costi di produzione, mette a dura prova la resilienza del settore moda italiano.
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Crisi nel settore moda: un’analisi approfondita dei dati e delle tendenze
La questione centrale è capire se la situazione di Aeffe rappresenti un caso isolato o sia, invece, un segnale di una crisi più profonda che investe l’intero settore del Made in Italy. Purtroppo, i dati disponibili sembrano confermare la seconda ipotesi. Secondo i Fashion economic trends della Camera Nazionale della Moda Italiana, nei primi mesi del 2025 il fatturato del settore ha subito una diminuzione del 5,8% rispetto allo stesso periodo del 2024, con un picco negativo del -7,7% per i settori core (abbigliamento, accessori e calzature). Anche l’export ha registrato un calo del 2,8% nei primi due mesi del 2025.
Un’indagine condotta da Confindustria Moda Accessori ha evidenziato una contrazione del fatturato del 6,4% nel settore della pelle, degli accessori e delle calzature. Questi numeri, combinati con le difficoltà di Aeffe, suggeriscono che il Made in Italy sta attraversando una fase di profonda trasformazione e incertezza. A ciò si aggiunge l’aumento delle richieste di cassa integrazione, che nei primi tre mesi del 2025 hanno subito un’impennata del 66% rispetto allo stesso periodo del 2024.
Questa situazione è ulteriormente aggravata dalla crescente competizione da parte dei mercati emergenti, in particolare dalla Cina, che sta erodendo quote di mercato al Made in Italy. La globalizzazione e la delocalizzazione della produzione hanno contribuito a creare un contesto in cui le aziende italiane faticano a competere in termini di costi. Inoltre, la crisi dei consumi, dovuta all’aumento dell’inflazione e all’incertezza economica, ha ridotto la domanda di beni di lusso, colpendo duramente il settore moda.

Strategie aziendali e politiche governative: una risposta alla crisi
Di fronte a questa complessa situazione, le aziende del settore moda stanno cercando di reagire mettendo in atto diverse strategie. Alcuni multimarca, ad esempio, si concentrano su sport e marchi accessibili per attrarre un consumatore più attento al rapporto qualità-prezzo. Altri, come Sugar di Arezzo, puntano sull’offerta di prodotti con elementi di fascino, novità e “eternità”, enfatizzando la cura del cliente e l’empatia. Franz Kraler a Cortina D’Ampezzo, invece, cerca di sfruttare l’opportunità delle Olimpiadi invernali per attirare turisti da tutto il mondo.
Queste strategie, sebbene lodevoli, potrebbero non essere sufficienti senza un adeguato sostegno da parte del governo. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha annunciato un “Piano Italia” per affrontare le sfide del settore e consolidare la filiera. Il piano prevede un nuovo credito d’imposta da 250 milioni di euro per sostenere il design e la realizzazione dei nuovi campionari, e una norma per certificare la sostenibilità e la legalità delle imprese del comparto. Confindustria Moda ha espresso apprezzamento per l’avanzamento delle proposte nel Piano Italia per la moda, auspicando che il credito d’imposta diventi una misura strutturale. Tuttavia, il settore richiede anche interventi immediati sulla legalità e la continuità degli strumenti di sostegno al reddito, in particolare per le PMI.
Tuttavia, alcuni esperti del settore ritengono che queste misure siano insufficienti per affrontare la portata della crisi. Secondo loro, è necessario un intervento più strutturale che miri a ridurre il costo del lavoro, a semplificare la burocrazia e a incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Inoltre, è fondamentale promuovere il Made in Italy sui mercati internazionali, attraverso campagne di marketing mirate e accordi commerciali vantaggiosi.
Le imprese italiane si trovano di fronte a un bivio: innovare e adattarsi ai cambiamenti del mercato o soccombere alla concorrenza. La strada da percorrere è difficile, ma il futuro del Made in Italy dipende dalla capacità di affrontare questa sfida con coraggio e determinazione.
Made in Italy e il ruolo dell’innovazione per affrontare la crisi
La crisi del settore moda italiano mette in luce la necessità di un cambiamento di paradigma, di una nuova visione che sappia coniugare tradizione e innovazione. Il Made in Italy non può più basarsi esclusivamente sulla qualità dei materiali e sulla maestria artigianale, ma deve saper sfruttare le nuove tecnologie, i nuovi modelli di business e le nuove tendenze del mercato.
L’innovazione non riguarda solo i prodotti, ma anche i processi produttivi, la logistica, il marketing e la distribuzione. Le aziende italiane devono investire in ricerca e sviluppo, collaborare con le università e i centri di ricerca, e creare un ecosistema favorevole all’innovazione. Inoltre, è fondamentale promuovere la sostenibilità, sia ambientale che sociale, per rispondere alle crescenti esigenze dei consumatori e per tutelare il patrimonio culturale del Made in Italy.
Un altro aspetto cruciale è la formazione. Le aziende italiane devono investire nella formazione dei propri dipendenti, per garantire che siano in grado di affrontare le nuove sfide del mercato. È necessario creare nuove figure professionali, che sappiano coniugare le competenze tecniche con le conoscenze di marketing e di gestione aziendale. Inoltre, è importante promuovere l’imprenditorialità, per incentivare la nascita di nuove aziende innovative nel settore moda.
Il futuro del Made in Italy dipende dalla capacità di creare un sistema moda più dinamico, flessibile e competitivo. Un sistema che sappia valorizzare le proprie eccellenze, ma che sia anche in grado di adattarsi ai cambiamenti del mercato e di cogliere le nuove opportunità che si presentano.
Affrontare la sfida del made in Italy: le prospettive future
In conclusione, la crisi che sta interessando il settore moda italiano, con il caso di Aeffe che ne rappresenta un emblematico segnale, delinea uno scenario complesso ma non privo di opportunità. La resilienza del Made in Italy sarà messa alla prova, e la capacità di adattamento, innovazione e collaborazione tra imprese e istituzioni sarà determinante per superare questo momento di difficoltà e rilanciare un settore che rappresenta un pilastro dell’economia nazionale.
La composizione negoziata di Aeffe, quindi, non è solo una vicenda aziendale, ma un campanello d’allarme che deve spingere a una riflessione profonda sullo stato di salute del Made in Italy e sulle strategie da mettere in atto per garantirne la sopravvivenza e la competitività nel lungo periodo.
Ed eccoci qui, davanti a un bivio per il nostro Made in Italy. È un po’ come quando ti trovi a dover scegliere tra due strade: una facile, già battuta, che però non ti porterà lontano; l’altra più impervia, piena di ostacoli, ma con la promessa di un panorama mozzafiato. In economia, questo si traduce nella necessità di saper bilanciare il rischio e il rendimento. Un concetto base, ma fondamentale.
Per approfondire, potremmo parlare di allocazione strategica degli asset. Immagina di avere un portafoglio di investimenti: non puoi mettere tutte le uova nello stesso paniere, giusto? Devi diversificare, scegliendo con cura quali settori e quali aziende sostenere. Allo stesso modo, il Made in Italy deve diversificare la sua offerta, puntando non solo sul lusso, ma anche su prodotti più accessibili e sostenibili. E questo richiede una visione a lungo termine, una capacità di analisi del mercato e una buona dose di coraggio. In questo sono maestri economisti come Franco Modigliani, la cui teoria del ciclo vitale ci ricorda che le scelte di oggi influenzano il nostro futuro finanziario. Riflettiamoci su, perché il futuro del Made in Italy è nelle nostre mani.







